Nell‘articolo, pubblicato sulla rivista internazionale Atmosphere, viene evidenziato come il COVID-19 si è sviluppato nelle grotte dei pipistrelli, dove, a causa delle enormi quantità di guano, sono alte le concentrazioni di ammoniaca. Ebbene proprio l‘ammoniaca nell’aria accomuna gli ambienti dove si è sviluppato e adattato il virus con i più importanti cluster di COVID-19 segnalati in tutto il mondo, ossia nelle aree soggette ad inquinamento atmosferico in prossimità dei campi agricoli trattati con liquami di allevamento (es. Pianura Padana) e negli ambienti di lavoro come gli impianti di macellazione. Una tale comunanza ha un’ulteriore connessione con il comportamento noto di alcuni virus della famiglia dei coronavirus, come il virus dell’epatite murino, la cui glicoproteina spike (S) può essere innescata a pH 8,0 in una conformazione legante la membrana. All’interno della via aerea di trasmissione del virus, con particolare rilevanza per ambienti affollati e chiusi, queste osservazioni hanno suggerito un’ipotesi che può rappresentare una causa che contribuisce a interpretare la variabilità geografica della diffusione del virus e l’aumento vertiginoso dei casi di COVID-19 nei macelli di tutto il mondo. L’ipotesi è che, in questi ambienti, la proteina SARS-CoV-2 S trovi, su una frazione delle particelle aerodisperse, un pH alcalino, favorevole a innescare i cambiamenti conformazionali necessari per indurre la fusione dell’involucro virale con la membrana plasmatica delle cellule bersaglio.

La ricerca è stata realizzata da un team di esperti di cui fa parte Ettore Guerriero, ricercatore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR, esperto di monitoraggio degli ambienti di lavoro e delle emissioni industriali.

Il CNR–IIA sta in questi mesi sviluppando diversi studi sulla diffusione del virus nell’aria e sull’interazione con l’inquinamento atmosferico al fine di mettere la ricerca al servizio della collettività.