Due strumenti della Nasa (National Aeronautics and Space Administration) che hanno la funzione di sorvegliare la qualità dell’aria nella fascia atmosferica più vicina alla Terra hanno registrato un netto calo del biossido di azoto (NO2) proprio sull’area di Whuan, in concomitanza con le restrizioni governative cinesi adottate per ridurre la diffusione dell’epidemia da Coronavirus: dall’interruzione della produzione in molte fabbriche alla limitazione dei trasporti. I dispositivi hanno restituito delle istantanee che mostrano nettamente l’abbassamento dei livelli di NO2, inizialmente in città e poi sul resto della Cina orientale e centrale. Confrontando poi le mappe di giorni diversi dello stesso anno (20 gennaio e 25 febbraio) e a un anno di distanza (gennaio e febbraio 2019 con gennaio e febbraio 2020), sono emerse ulteriori differenze nettamente visibili.

“La crisi dovuta all’epidemia di Coronavirus in Cina ha bloccato molte attività: dalle produzioni industriali al traffico aereo, fino a quello autoveicolare. Le mappe satellitari della Nasa mostrano come in questo periodo l’inquinamento dell’aria sia diminuito enormemente in una vasta zona del paese”, conferma Antonello Pasini dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr. “Non bisogna però trarre conclusioni affrettate, dal momento che l’inquinamento nei bassi strati dell’atmosfera (quelli in cui viviamo), in particolare quello da NO2, dipende, oltre che dalle emissioni di inquinanti, dallo stato fisico dell’atmosfera stessa, cioè dalle condizioni meteorologiche. In questo senso, manca ancora un’accurata analisi delle situazioni meteo dei due periodi da confrontare. Tuttavia, primi tentativi di depurare il dato di inquinamento dalla sua componente dovuta alla meteorologia fanno propendere per la tesi che, effettivamente, una parte consistente delle riduzioni di NO2 sia dovuta proprio al calo delle emissioni. Dunque c’è stato un effetto quasi immediato sulla qualità dell’aria”.

Alla luce delle evidenze osservabili dalle immagini sulla diminuzione dei livelli di inquinamento sulla Cina, si possono trarre anche altre considerazioni, come evidenzia il ricercatore: “Inquinamento e cambiamenti climatici rappresentano due impatti delle attività umane sull’ambiente che si generano entrambi dalle combustioni fossili, ma che hanno aspetti caratteristici. Ad esempio, non sempre gli inquinanti emessi hanno un potere riscaldante: talvolta inquinano molto i bassi strati dell’atmosfera ma raffreddano, come i solfati, che sono anche dannosi per la salute. Per valutare con precisione gli effetti climatici bisogna quindi esaminare tutti questi aspetti. In questo caso specifico, comunque, la diminuzione di emissioni di anidride carbonica (CO2) è stata molto marcata: si valuta una riduzione di 200 milioni di tonnellate nel periodo considerato, pari a circa il 25% delle emissioni dello stesso periodo dell’anno precedente”.

L’unico a guadagnarci in salute dalla situazione emergenziale da Covid19, dunque, sembrerebbe essere proprio il clima. Ma Pasini frena su questa ipotesi: “Purtroppo non sono episodi limitati nel tempo a poter stabilizzare la temperatura del pianeta a livelli non pericolosi, ma un’azione continua di contenimento e riduzione delle emissioni. La CO2, infatti, si accumula anno dopo anno in atmosfera, dove ha un lungo periodo di permanenza, e dunque occorre un’azione protratta nel tempo per giungere a risultati significativi sul clima. La situazione creata dall’epidemia, dal punto di vista climatico, rappresenta solo un caso di studio per capire come giungere a uno sviluppo che utilizzi meno combustibili fossili, in primis il carbone, sul quale è ancora basata la produzione energetica e industriale della Cina. Alla fine di questa crisi epidemica dovremo tornare ad affrontare seriamente l’altro grande problema cui si trova dinanzi l’umanità: il cambiamento climatico e il suo pesante impatto”.

A confermare queste considerazioni, anche le informazioni fornite dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, che ha raccolto i dati relativi all’inverno meteorologico appena trascorso, documentando che è stato uno dei più miti e secchi per l’Italia, con un’anomalia, rispetto alla media del trentennio di riferimento 1981-2010, di +2.03 °C, seconda sola all’inverno 2006-2007 che aveva registrato +2.13 °C.

La speranza è che questa epidemia ci renda più consapevoli e ci guidi verso un cambio di rotta, che il periodo del Covid-19 ci aiuti a uscire dall’epoca dell’Antropocene.